Abbeverarsi alla fonte: la testimonianza del Maestro Ermanno Cozzi
Dedico queste mie righe al mio primo maestro di Taiji Quan dello stile Yang tradizionale
Dedico queste mie righe al mio primo maestro di Taiji Quan dello stile Yang tradizionale: il Maestro Ermanno Cozzi. Quello che il Maestro Cozzi ha fatto per il Taiji Quan è giusto che venga celebrato e raccontato.
Ermanno Cozzi è da considerare uno dei più importanti (se non il più importante) Maestro di Taiji Quan dello stile Yang in Italia ed Europa. Uno dei pochi ammessi alla corte della famiglia Yang, che ha potuto abbeverarsi direttamente alla fonte del sapere tramite gli insegnamenti del Maestro Yang Sau Chung, il figlio maggiore del Gran Maestro Yang Cheng Fu.
In gioventù scoprì il Taiji Quan a Los Angeles
La sua dedizione a quest’Arte ha fatto di lui un viaggiatore, sempre disposto ad abbandonare ogni certezza alla ricerca di un sapere più profondo. In gioventù scoprì il Taiji Quan a Los Angeles e viaggiò molto negli Stati Uniti per cercare Maestri nelle comunità cinesi. Nel 1973 lasciò il lavoro che aveva in Italia e si diresse a Singapore. Ha viaggiato continuamente in Asia e ha potuto apprendere direttamente dal Maestro Yang Sau Chung a Hong-Kong. Le mete preferite degli ultimi anni della sua vita sono state Cina, Stati Uniti e India.
A Milano, però, nel quartiere Navigli aveva la sua Scuola, alla quale faceva ritorno da ogni viaggio per divulgare quello che aveva imparato. In quella scuola fui suo allievo dal 1989 al 1992 e continuai a frequentarlo anche negli anni successivi.
Nelle mie ultime lezioni con lui, mi diceva spesso che avrebbe avuto piacere che citassi il suo nome nel parlare di chi mi aveva insegnato ed introdotto al Taiji Quan della famiglia Yang.
“La Repubblica” 29/12/2004: MILANO – L’ hanno visto sollevarsi, rapito dall’acqua, e arrivare sulla cima dell’onda come un tronco trasportato da una corrente impetuosa. Poi è sparito fra la schiuma, nell’esatto momento in cui quella montagna d’acqua si è abbattuta sulla costa. Sono queste le ultime immagini di Ermanno Cozzi, 58 anni, “Leggenda” del T’ai Chi italiano.
Così, a pochi giorni dal terribile tsunami che colpì tutto il sud-est asiatico nel 2004, il quotidiano “La Repubblica” raccontava la scomparsa del Maestro Ermanno Cozzi. Si trovava proprio sulle spiagge dello Sri Lanka e si dice stesse praticando Taiji Quan, la disciplina a cui aveva dedicato tutta la sua vita.
Ecco una delle sue ultime interviste prima della scomparsa sulla ricerca del Taiji Quan
«L'esperienza personale di un ricercatore che tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 ha iniziato a praticare Taiji Quan. Un periodo in cui, almeno nel nostro paese, era impossibile apprenderlo da una fonte attendibile o autorevole. A tal fine si doveva solo viaggiare e soggiornare in altri Paesi.
La Cina di quegli anni era chiusa all’Occidente e non si potevano scorgere presagi di qualche apertura a venire. Molti capiscuola avevano lasciato il Paese verso la fine degli anni ’40 per rifugiarsi a Hong Kong, Singapore, Taiwan e altre località del Sud-est asiatico, mentre altri più tardi migrarono nel Nord America.
Non restava che cercare in Paesi stranieri degli insediamenti cinesi, sperando di trovarvi adepti o insegnanti dell’arte disposti a insegnare a degli occidentali. Ma una volta trovato l'insegnante, bisognava cercare garanzie di genuinità dell’insegnamento stesso. A queste difficoltà si aggiungevano quella di trovare informazioni concernenti l’arte, trasmessa per lo più mediante scambi orali con altri praticanti e l’assenza totale, o penuria, di materiale didattico in lingua non cinese.
Il percorso dell’apprendimento ha richiesto pazienza e prudenza nella verifica di fonti attendibili, adattamento a luoghi e culture estranee, superamento delle difficoltà dovute alla barriera linguistica, ai climi diversi e alle abitudini alimentari non congeniali. Il tutto gravato dall'inevitabile lunghezza dei tempi di studio che sono propri del Taiji Quan.
Se a quanto detto si aggiungono il costo oneroso dell’insegnamento, la peculiarità delle sorgenti dello stesso, ben lontane da quelle trovabili in Università o Istituti organizzati, e l’incertezza dell’esito, si può immaginare la notevole difficoltà di tale ricerca.
Si aggiunga che talora, alla morte fisica di un insegnante, col subentrare di un altro, probabilmente un discepolo, subentravano parimenti un metodo e un indirizzo diversi. Con ciò si generava una sensibile deviazione del percorso d’apprendimento e, quindi, l’insorgere di dubbi che si potevano dissipare solo mediante una strenua azione riflessiva sostenuta da vera passione per la ricerca.
Solo l’insegnamento diretto e la trasmissione orale da insegnante ad allievo, in un contesto sempre individuale possono essere considerati l’unica vera via, anche se informazioni e libri possono rappresentare un valido supporto allo studio. Una ricerca così svolta sorpassa di gran lunga, per scopo e significato, la mera ricerca di una eccellenza tecnica».
A lui, quindi, va il mio più profondo ringraziamento insieme a quello di tutta “La Via del T’ai Chi”.